Che cos’è l’antisemitismo e perché è così vivo nel calcio? L’addio al giornalismo di un ex calciatore

L’antisemitismo, nel senso più ampio, è una forma di discriminazione o ostilità nei confronti degli ebrei in quanto gruppo religioso, etnico o culturale. Le sue radici storiche sono profonde e attraversano i secoli: dall’accusa di deicidio nel Medioevo, passando per le discriminazioni nell’Europa moderna, fino alla tragedia della Shoah. Nell’epoca contemporanea, l’antisemitismo ha assunto nuove forme: complottismo, negazionismo, accuse contro lo Stato di Israele che travalicano la critica politica per diventare odio razziale. Questo pregiudizio antico continua a manifestarsi anche nei luoghi più inaspettati, come negli stadi di calcio, diventati a volte cassa di risonanza di ideologie violente, intolleranza e xenofobia.

Antisemitismo e razzismo nel calcio europeo: un problema vivo

Nel mondo del calcio, l’antisemitismo è spesso intrecciato al più ampio fenomeno del razzismo negli stadi. Dai cori contro i giocatori di colore, agli insulti contro le tifoserie ritenute “ebree” per tradizione o rivalità (come il caso dell’Ajax ad Amsterdam o del Tottenham a Londra), l’odio si manifesta in modo diretto e simbolico. UEFA e FIFA (sigle o partite quotate online in tutto il mondo – https://www.playamo.it.com/) da anni denunciano il crescente numero di episodi, tanto da lanciare campagne globali come “No to Racism” e “Equal Game”. Nonostante gli sforzi, i provvedimenti rimangono spesso sporadici e inefficaci.

Nel 2023, la partita tra Lazio e Roma venne macchiata da cori inneggianti al nazismo e da tifosi con magliette raffiguranti Anna Frank in maglia giallorossa. Nel 2024, durante un match tra il Paris Saint-Germain e il Maccabi Haifa, furono segnalati cori razzisti e lancio di oggetti contro i tifosi israeliani. Solo pochi mesi fa, un calciatore del Bayer Leverkusen aveva denunciato di essere stato definito “ebreo di m…” da un avversario, fatto che ha spinto l’intervento della procura federale tedesca. Questi episodi non solo creano tensioni nei campionati, ma alimentano un clima di odio sociale fuori dal campo.

Gary Lineker e la crisi tra sport, opinione pubblica e politica

A riportare questi temi in prima pagina è stato Gary Lineker, ex bomber della nazionale inglese e volto storico della BBC, l’emittente pubblica britannica. Lineker ha lasciato la BBC dopo trent’anni di carriera televisiva, travolto da accuse di antisemitismo legate a un post social condiviso su X (ex Twitter), in cui si faceva riferimento al sionismo tramite un’immagine considerata offensiva: un ratto associato all’identità ebraica, simbolo connesso alla propaganda nazista.

Nonostante le scuse pubbliche — “Non posterei mai consapevolmente qualcosa di antisemita, ma riconosco l’errore” — Lineker ha annunciato il proprio addio al programma cult “Match of the Day”, dichiarando che “dimettersi è la conseguenza giusta”. L’ex calciatore, noto per il suo fair play in campo (mai un cartellino in carriera) e il suo attivismo sui diritti civili, non è nuovo alle polemiche. Già in passato aveva criticato le politiche migratorie del governo britannico, attirando attacchi da parte di membri del Parlamento.

Una carriera da campione macchiata dal sospetto

Gary Lineker, classe 1960, è considerato uno dei più grandi attaccanti britannici. Capocannoniere del Mondiale 1986, giocò per Tottenham, Everton e Barcellona, segnando 291 gol in 546 partite ufficiali. Fu inserito da Pelé nella lista dei 125 migliori calciatori viventi (FIFA 100) e nella Hall of Fame del calcio inglese. Ma il suo vero successo post-calcistico fu come commentatore e conduttore sportivo, ruolo in cui divenne il volto più pagato della BBC.

L’episodio che lo ha portato alle dimissioni arriva in un momento già infuocato nel dibattito globale sull’offensiva israeliana a Gaza e le crescenti tensioni internazionali. Il suo post, interpretato come pro-Palestina ma giudicato antisemita da molti, ha riacceso il dibattito sul limite tra libertà di espressione e discorso d’odio, soprattutto quando a parlare sono volti pubblici.

Il calcio come specchio della società

Il caso Lineker evidenzia come il calcio moderno, ormai pienamente inserito nei circuiti della comunicazione globale, non possa più sottrarsi alle dinamiche politiche e culturali della nostra epoca. In un ambiente in cui convivono atleti di ogni nazionalità, religione ed etnia, ogni parola pubblica — anche quella di un ex calciatore — può innescare dibattiti accesi o scatenare reazioni estreme.

L’antisemitismo nel calcio, come forma specifica di intolleranza, rappresenta solo una parte del problema più ampio: l’incapacità, ancora oggi, di separare il tifo dalla violenza verbale e ideologica. Quando i leader del calcio non riescono a dare l’esempio, o finiscono essi stessi al centro della polemica, il rischio è quello di legittimare l’odio, amplificando messaggi che sui social diventano virali in pochi minuti.

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